La situazione attuale nel settore eco-fashion  è molto variegata;   esistono brand  che presentano un’offerta di prodotto interamente dedicata alla moda eco-sostenibile, ma anche brand che offrono una singola linea o addirittura solo alcuni capi eco-sostenibili. In vari casi l’ecosostenibilità è limitata a una fase della produzione ( ad esempio l’utilizzo di cotone biologico). In questa situazione la certificazione basata sullo standard GOTS rappresenta un punto  di riferimento per l’effettiva eco-sostenibilità della produzione.

Nel seguito viene presentato un elenco di aziende del settore fashion che presentano una produzione eco-sostenibile ( in tutto o in parte); l’elenco è diviso in due parti: la prima parte riporta  alcuni brand internazionali e la seconda alcun i brand italiani.  Le aziende sono riportate in ordine alfabetico e riprendendo informazioni ottenute dal loro sito o da altra documentazione su Internet; l’elenco è ovviamente molto parziale e sommario.

Brand non italiani

Alternative Apparel: produce abbigliamento e accessori per il 70% con processi e materiali  eco-sostenibili.

Blue Canoe: nata nel 1994 negli Stati Uniti,  produce capi di abbigliamento per donne  utilizzando cotone organico e bambù.

Deadwood:   creata a Stoccolma nel 2012, produce abbigliamenti e accessori. Interessante la linea di capi prodotti interamente con pelle riciclata; per gli altri articoli utilizza materiali e tessuti riciclati. 

EcoAlf:   creata da Javier Goyeneche  nel 2009 in Spagna   e attraverso tecnologie innovative propone  abiti, borse  e accessori realizzati interamente con materiali riciclati di vario tipo (plastica , copertoni di auto, reti da pesca, …).  EcoAlf  ha finanziato il progetto Upcycling The Oceans per recuperare la plastica in varie aree del Mediterraneo tramite un accordo  con pescherecci della costa spagnola di levante e utilizzarla per la produzione di abiti e accessori  .

Eileen Fisher : è stata  una delle prime aziende a seguire  i concetti dello slow fashion; produce abbigliamento per donne utilizzando fibre organiche e ha sempre èposto l’accento sulla sostenibilità sociale della sua supplì chain. Dal  2009  sta sviluppando  l’iniziativa  Green Eileen per il riciclaggio di capi  di abbigliamento, che fino ad oggi ha portato alla donazione  di oltre 600.000 capi. 

Esprit:  membro fondatore della Sustainable Apparel Coalition e del Zero Discharge of Hazardous Chemicals Group (ZDHC), il marchio utilizza, per le sue collezioni mare e recycled, cotone e lana organici e nylon riciclato.

Industry Of All Nations ( IOAN) :  nata nel 2010 a Los Angeles da tre fratelli argentini, è un brand di abbigliamento per la produzione di abiti e accessori in modo etico e sostenibile. IOAN sviluppa nuovi prodotti attraverso processi tradizionali e innovativi attraverso la collaborazione con comunità locali.  Sul sito è disponibile un elenco di prodotti che IOAN commercializza grazie a una serie di collaborazioni con aziende locali quali: 1) i classici argentini Mocassini in pelle sella  Porteños ; 2) i maglioni IOAN 'alpaca' che  prendono il nome dalle figure  completamente a mano  che decorano ogni pezzo.

Fjällräven: fondata nel 1960 in Svezia, produce indumenti e accessori di qualità per ambienti outdoor fin dalle sue origini ( abbigliamento, zaini, borse, tende,…).  Caratterizzata  fin dalla nascita da una forte cultura dell’innovazione, negli ultimi anni si è impegnata nella produzione eco-sostenibile. La  collezione Keb Eco Shell dell’azienda svedese comprende indumenti in poliestere riciclato, impermeabili, traspiranti, sostenibili e dedicati al trekking tecnico. La linea Greenland, invece, è in tessuto G-1000, impermeabile poiché impregnato con una miscela di cera d’api e paraffina.   


H&M: nato nel 1846, negli ultimi decenni si è affermato nel fast fashion a basso prezzo utilizzando lavoratori dei paesi sviluppati. Da alcuni anni sta cercando di  migliorare la propria immagine attraverso  una serie di iniziative di moda ecosostenibile.  In particolare è famosa   la collezione Conscious   realizzata  esclusivamente con materiali eco friendly e sostenibili come la canapa e il lino biologico. L’azienda utilizza il 21,2% di cotone biologico certificato, riciclato oppure coltivato secondo le direttive della Better Cotton Initiative, e ha l’obiettivo di raggiungere il 100% entro il 2020.   H&M realizza anche capi in Tencel, canapa biologica e lana riciclata. Dal 18 al 24 aprile il marchio svedese promuove la World Recycle Week, che prevede una raccolta di abiti a livello globale; l’iniziativa,  partita nel 2013, ha condotto fino ad oggi a riciclare  25.000 tonnellate di vestiti. 

Jan ‘n June:  fondato ad Amburgo nel 2013 da due ragazze tedesche; la produzione avviene in Polonia mediante tecniche materiale riciclato ( essenzialmente poliestere ).

Kowtow:  con sede in Nuova Zelanda, produce capi di abbigliamento con cotone 100% biologico ed equosolidale certificato da Fairtrade.

Made&More:  negozio online di abbigliamento, accessori e gioielli   con sede a Liegi in Belgio; vende produzioni  di  brand di piccole/medie dimensioni   e di  artigiani  localizzati  in Europa   certificati eco-sostenibili.

Mela Artisans:  combina tecniche fortemente artigianali tradizionali con il  design contemporaneo.  I prodotti realizzati  utilizzano fibra di banana, lana e cotone, mentre il tessuto utilizzato è  una seta grezza biodegradabile (  tasar) . 

Minna : fondata nel 2008,  produce abiti  da cerimonia ( in particolare  matrimoni)  utilizzando  tessuti sostenibili, organici, riciclati  utilizzando una supply chain locale.

Patagonia: fondata nel fondata nel 1973,  è famosa soprattutto per la produzione di abbigliamento tecnico. La collezione  Denim Patagonia utilizza  esclusivamente cotone organico al 100%, coltivato senza l’uso di fertilizzanti inquinanti né di pesticidi o erbicidi nocivi.  Mediante un innovativo processo di tintura si ottiene anche uan diminuzione significativa  di utilizzo di acqua, energia elettrica e sostanze chimiche. I capi sono dotati di certificazione Fair Trade Certified per la realizzazione delle cuciture.

People tree Ltd:  fondata nel 1991 da  Safia Minney  a Tokyo (  e con sede anche a Londra)  è stata uno dei primi brand   ad abbracciare la moda etica e sostenibile. People tree produce  abbigliamento  100% biologico: dalla scelta delle fibre passando per i vari lavaggi fino alle colorazioni. La produzione si avvale delle competenze artigianali locali di vari paesi e attualmente collabora con comunità sparse in 50 paesi in via di sviluppo, come per esempio il Nepal, il Perù, l’India e il Bangladesh, cercando di sfruttare al massimo le capacità artigiane e manuali delle comunità locali per realizzare prodotti di qualità e con tecniche sostenibili.  Attraverso l’opzione “meet the maker” l’acquirente può visualizzare video che mostra in dettaglio tutte le fasi di lavorazione di un capo di abbigliamento. People tree è  stato il primo brand a raggiungere il GOTS (Global Organic Textile Standard), che è possibile ottenere soltanto con una produzione realmente sostenibile, utilizzando materiali naturali al 100% o riciclati.

Reformation: creata nel 2009 a Los Angeles, produce abbigliamento e accessori. L’azienda  progetta e produce varie collezioni a numero limitato nel proprio stabilimento di Los Angeles mediante tessuti e processi sostenibili.  Anche le  collezioni  prodotte negli Stati Uniti o all’estero sono realizzate secondo i principi della sostenibilità ambientale e sociale.

Synergy: produce capi di abbigliamento con materiali biologici; la produzione avviene in Nepal dove garantisce ai lavoratori ( in particolare donne) un trattamento ( salario e bonus) secondo le regole del commercio equosolidale .

The Sept Label : la produzione avviene in Portogallo e Germania secondo i principi della mosda eco-ssostenibile

Under the Canopy: produce capi di abbigliamento utilizzando cotone organico, materiali  riciclati e altri prodotti  sostenibili ; la produzione è affiancata da una serie di certificazioni di garanzia per la sostenibilità ambientale e sociale ( GOTS, Fairtrade,…)

United by Blue: creata nel 2010, produce abbigliamento e accessori. Per ogni vendita di un prodotto  rimuove 1 Kg di rifiuti dalle acque dell’oceano o di fiumi.

Wills London:   produce  scarpe e accessori vegani   prodotte interamente con materiali di provenienza non animale ”. 

Zady: azienda di abbigliamento  con sede negli Stati Uniti che dedica una particolare attenzione  ai materiali usati, all’impatto ambientale  e alla tutela dei lavoratori.

Brand italiani
 
Canepa:  fondata nel 1966 a San Fermo della Battaglia ( Como), è una delle maggiori aziende tessili  italiane e si occupa della   creazione, produzione e distribuzione di tessuti e accessori tessili  per le grandi firme della moda internazionale.  L’azienda  sviluppa e produce anche collezioni di accessori e abbigliamento che distribuisce con marchi propri. La propria supply chain è localizzata prevalentemente all’interno del distretto della seta di Como. Canepa, attraverso il progetto “Savethewater”, ha ridotto il consumo di acqua fino a 300 litri per pezza rispetto ad una media di 3 mila, ha diminuito fino al 70% gli agenti inquinanti e il 90% del consumo di energia.

Cangiari:  Cangiari (in dialetto calabrese: "Cambiare") ha sede a Gioiosa Jonica (RC)  si caratterizza  per i suoi tessuti prodotti al telaio a mano: l'antica tradizione della tessitura calabrese - di origine greca  e bizantina - unita a ricerca e innovazione, dà vita a prodotti unici, con preziose rifiniture sartoriali. Grazie al controllo diretto di tutta la filiera di produzione i capi possono essere altamente personalizzati. Tutti i  tessuti e i capi CANGIARI sono realizzati con materiali e colorazioni biologiche, per il massimo rispetto dell'ecosistema e del benessere di chi li indossa. 

Carmina Campus: brand di moda creato da laria Venturini Fendi,  per la produzione  di borse e accessori mediante il riutilizzo di materiali, prodotti con imperfezioni  e prodotti giunti a fine vita. Ogni borsa è numerata  e i materiali utilizzati sono elencati su un tag.  Come conseguenza ogni oggetto è un  pezzo unico  personalizzato, in cui non ci sono due elementi   uguali per materiale e composizione.  L’azienda  ha numerose collaborazioni con  aziende private o enti pubblici e  ONG  per lo sviluppo di progetti etici e sostenibili tra  cui una collaborazione con  UN agency International Trade Centre per lo sviluppo in Africa di prodotti di moda sostenibile.  Da questa  collaborazione sono nate varie soluzioni innovative di riciclaggio di materiali per la produzione di eco-friendly borse basate sull’utilizzo   di materiale fatto in Africa che unisce cotone organico e sottili strisce di plastica riciclata da sacchetti e buste per rifiuti

CeeBee: produce borse e accessori utilizzando materiali riciclati o materiali di recupero. Tutti i prodotti   sono realizzati in Italia e sono pezzi unici fatti a mano.

Dienpi:  con sede a  San Benedetto del Tronto,  si occupa di ricerca, progettazione grafica e realizzazione di etichette e cartellini moda per l'abbigliamento realizzati con tecniche di lavorazione e materie prime sempre nuove: carta, stoffa, pelle, eco-pelle, jacron. Le etichette sono prodotti con materiali eco-sostenibili. Un esempio è la linea etiECO, etichette fatte con pelle proveniente da allevamenti italiani e conciata senza cromo ma con tannini naturali.

Fera Libens:  produce calzature classiche con componenti di origine non animale ( Alcantara® e  microfibra) , alternativi alla pelle vera.  Alcantara è un materiale all’avanguardia prodotto in Italia che, per la sua straordinaria versatilità, è usato in svariati settori, da quello automobilistico alla moda. In particolare Fera Libens si serve dell’Alcantara  per realizzare la tomaia della nuova collezione (e in alcuni modelli anche la fodera interna) perché, oltre a garantire prestazioni eccezionali, è certificata 100% Carbon Neutral dal TÜV SÜD, un ente internazionale di certificazione. La microfibra è un “tessuto non tessuto”  che  presenta una struttura molto simile a quella della pelle.

Garbagelab: nata a Milano nel 2009, crea borse  ecologiche e cucite  a mano utilizzando banner pubblicitari in pvc, cinture di sicurezza e altri materiali riciclati oltre a cinture di sicurezza di  vecchie auto per tracolle e manici.

Italdenim:  fondata nel 1974  con sede a Inveruno ( Milano;) , è una delle azienda leader a livello europeo per la produzione di tessuti per jeans. Italdenim è stata anche la prima azienda produttrice di denim ad aderire alla campagna  Detox di Greepeace. Per la produzione sono utilizzati i cotoni biologici certificati GOTS, quelli provenienti da produzioni etiche Fair Trade e il cotone BCI e per alcuni prodotti il poliestere  recuperato da PET. L’azienda ha inoltre sviluppato una serie innovazione per ridurre l’impatto ambientale dei processi tintoriali, lavaggi, e finissaggi. 

ITV denim: nata nel 1973, ha sede a Cellino Attanasio ( Teramo)  in cui produce tessuto denim. Sviluppa tutte le fasi   del processo produttivo del denim: dalla filatura del cotone alla tintura del filo, dalla preparazione alla tessitura fino ai finissaggi e ai lavaggi.   Utilizza per la produzione del tessuto denim cotone BCI (Better Cotton Initiative) e fibre naturali come il lino e la seta e naturalmente elastomeri.

Made In Carcere:  laa  cooperativa sociale Made in Carcere produce borse e accessori in alcune carceri femminili pugliesi utilizzando materiali riciclati.

Nokike:  nata nel 2011, produce  gioielli  riciclando  vari materiali  quali  palloncini, camera d'aria, metalli, pietre dure e pelle.

Par.Co Denim: produce Jeans e abbigliamento sostenibile  a filiera corta in Italia con artigiani bergamaschi. Per la produzione utilizza denim (o tessuto di jeans)  italiano con fibre naturali di cotone biologico certificati GOTS e tessuti denim cimosati giapponesi di cotone biologico. I processi di lavaggio sono effettuati  senza acqua e con trattamenti con composti naturali e 100% biodegradabili.

Quagga: nata a Torino nel 2010,  propone capi di abbigliamento realizzati con poliestere riciclato 100% certificati Bluesign. Quagga commercializza prodotti esclusivamente confezionati con materiali privi di sostanze nocive dannose non solo per la salute del consumatore finale, ma anche delle maestranze adibite alle lavorazioni e del territorio nel quale si svolgono. Le nobilitazioni, i finissaggi e le tinture dei tessuti selezionati non utilizzano sostanze tossiche  spesso  responsabili di allergie, disturbi ormonali e potenzialmente cancerogeni.

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Introduzione
Il settore della moda e del tessile, oltre a provocare  un elevato consumo di risorse e materie prime, rappresenta oggi la seconda industria più inquinante nel mondo, seconda soltanto all’industria petrolifera. Per dare un’idea grossolana di questi  aspetti bastano alcuni  esempi: la produzione  di 1 kg di cotone ( che a grandi linee rappresenta quanto necessario per creare  una t-shirt o un paio di jeans) richiede più di 11.000 litri di acqua ( dettagli su come questo consumo è ripartito tra le varie fasi di produzione possono essere trovate sul sito Nonsprecare). La produzione di cotone è una delle coltivazioni che richiede un elevato consumo di acqua ( attualmente rappresenta  il 2.6% del consumo totale di acqua).  Inoltre per aumentarne la produzione sono utilizzati elevati volumi di   pesticidi e fertilizzanti  che contribuiscono  all'inquinamento delle acque sotterranee e dell'aria, nonché la riduzione della fertilità del suolo e provocano danni alla salute dei lavoratori. Per avere un’idea del livello di inquinamento prodotto la coltivazione del cotone  è responsabile del  22,5% degli insetticidi usati in tutte le coltivazioni mondiali e del  10% dei pesticidi. Analogamente  la trasformazione di materie prime in tessuti prevede  in certi casi l’utilizzo di circa  8000 sostanze chimiche spesso particolarmente inquinanti.

Accanto agli aspetti ambientali il settore del fashion ( come altri settori manifatturieri) pone oggi numerosi problemi sociali legati alle condizioni   economiche   dei lavoratori, in particolare di coloro  che operano nelle aziende terziste dei Paesi in via di sviluppo, e allo sfruttamento di lavoro minorile.  Secondo l’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) più di 170 milioni di bambini nel mondo sono vittime di sfruttamento; molti di loro fanno tessuti e capi di abbigliamento per soddisfare la richiesta  dei brand della moda e del lusso.
La figura 1 riassume in forma grafica queste problematiche presenti oggi nel mondo del fashion e del lusso, che evidenziano la necessità di organizzare il settore secondo  nuovi modelli che siano sostenibili da un punto vista ambientale e sociale.










Figura 1. Le principali problematiche ambientali e social dell’industria del fashion.


Fast fashion
Negli ultimi decenni  si è affermato nel campo della moda  il fenomeno del “fast fashion” ( moda veloce) , in cui le nuove  collezioni di un brand  vengono disegnate e lanciate sul mercato una di seguito all’altra al ritmo spesso di una/due settimane a costi molto ridotti. Zara, H&M, Mango, Esprit, sono solo alcuni dei brand in ambito moda che seguono questo modello e nel giro di pochi anni  sono riusciti ad imporre questa nuova tendenza. Zara, ad esempio propone settimanalmente nuovi stili attraverso una forte ottimizzazione dei processi che vanno dal design alla produzione, fino alla distribuzione nei propri store; allo stesso modo Bershka, H&M, Topshop e Pull&Bear sono alcuni tra gli esempi di brand conosciuti e diffusi che fanno della velocità e dei prezzi stracciati i propri punti di forza. Questa situazione mette spesso in difficoltà anche i brand più affermati abituati a due collezioni all’anno.

Il termine fast fashion fu utilizzato la prima volta dal New York Times nel 1989 in un articolo dedicato  all’apertura del primo negozio Zara a New York per evidenziare  le caratteristiche della produzione veloce  di nuovi modelli, stimata in 15 giorni dalla sua ideazione alla sua presenza nel negozio.   In realtà alcuni aspetti del cosiddetto fast fashion sono già presenti nel mondo della moda fin dalla sua nascita nel XIX secolo , come evidenziato in un articolo della rivista Fashionista.  

Il modello fast fashion si basa sostanzialmente su seguenti fattori:
  • tempi brevi  di creazione di una collezione ( una o al massimo qualche settimana);
  • cicli di vendita al consumatore di una collezione temporalmente brevi ( meno di sei mesi, ma spesso  anche una/due settimane) per poter presentare varie collezioni in un  tempo ridotto contrariamente a quanto succede nella moda più classica ( in cui generalmente una collezione ha un tempo di vita che varia varia tra sei mesi e un anno);
  • costi aziendali  ridotti;
  • prezzi bassi al consumatore per consentire un acquisto di massa dei prodotti .
Il rispetto di queste condizioni consente elevati profitti in tempi brevi. Per raggiungere una sostenibilità economica  la produzione avviene quasi sempre   in paesi con costo del lavoro basso ( e perciò frequentemente con fenomeni di sfruttamento dei lavoratori)  utilizzando materiali a basso costo. 

Il fast fashion  ha avuto come  merito di consentire a molti di vestirsi bene seguendo le ultime  tendenze della moda ( si parla spesso di democratizzazione della moda), ma nello stesso tempo ha prodotto la  “cultura dell’usa e getta”: i capi di abbigliamento hanno spesso un costo così basso che possono essere usati poche volte e poi   buttati via.  Ogni anno  sono acquistati nel mondo oltre 150 miliardi di indumenti nuovi, che equivale a fornire ogni anno circa 20 indumenti nuovi a ogni abitante del pianeta. Questi dati forniscono  un’idea dello spreco di risorse e delle distorsioni prodotte da questo  modello-

L’utilizzo di materiali a basso costo, necessario per ridurre i costi,  e l’esigenza  di produrre in tempi ridotti comporta l’utilizzo di materiali scadenti, fortemente  inquinanti e il consumo di una notevole quantità di materie prime. Il quotidiano britannico The Guardian   riporta alcuni  dati raccolti dalla Defra  (Department for Environment, Food and Rural Affairs)  secondo cui il fast fashion  produce ogni anno oltre 3 milioni di emissioni di diossina e in alcuni casi  gli articoli contengono sostanze nocive  per chi li indossa a causa delle sostanze utilizzate e di processi di produzione non ottimizzati.  Secondo quanto riporta il Center for Environmental Health, alcune note catene d'abbigliamento come Charlotte Russe, Wet Seal e Forever21 vendono ancora borse, cinture e scarpe con livelli di piombo più alti del consentito, nonostante abbiano firmato anni fa un accordo per limitare l'uso di metalli pesanti nei loro prodotti ( huffingtonpost.it). 


Slow fashion

In contrapposizione a  questo  fenomeno è nato il concetto di “slow fashion”. La definizione di “slow fashion” fu  introdotta dalla designer di moda  Kate Fletcher  che utilizzò questo termine  per indicare  un tipo di produzione e consumo   in contrasto col “fast fashion” . Il concetto di  slow fashion viene anche indicato con altri termini  ( più o meno equivalenti),  quali  moda sostenibile,  eco-fashion e moda eco-solidale. Per avere una definizione abbastanza stringente di che cosa si intende per slow fashion viene riportata la definizione su Wikipedia : la moda eco-solidale si avvale di “materiali di riciclo e prodotti naturali per promuovere un basso impatto ambientale. Un prodotto per essere ecosostenibile, dovrebbe essere locale, quindi prodotto in loco, avere un design semplice, essere durevole, essere costituito da materiali naturali e riciclabili e packaging dovrebbe essere ridotto all'essenziale”.

Lo slow fashion pone perciò l’accento sui seguenti elementi( figura 2):
  • la sostenibilità ambientale sia attraverso l’utilizzo di prodotti naturali e il riciclaggio, sia mediante processi di produzione “locali” che minimizzano la mobilità delle merci ( e quindi del relativo inquinamento;
  • la sostenibilità sociale  che tenga conto delle condizioni dei lavoratori, eviti il lavoro minorile e sottopagato, valorizzi l’impiego  e le competenze di manodopera locale, e investa con una visione  a medio e lungo in manodopera nei paesi in via di sviluppo ( Africa, Asia,…);
  • l’etica aziendale e i rapporti con i propri collaboratori: filiera trasparente, filiera corta, compensi equi, valorizzazione delle maestranze artigianali locali e in generale tutto ciò che riguarda il commercio equo solidalela qualità  del prodotto che deve avere una vita sufficientemente lunga contrariamente al fast fashion che pone l’attenzione sulla quantità;
  • il consumo consapevole in cui l’utente finale pone l’accento  sulla qualità, sul riciclaggio di abiti usati,  sull’acquisto di capi di abbigliamento “utili” e sul rispetto delle condizioni di sostenibilità ambientale e sociale dell’azienda produttrice. Questo aspetto è legato al comportamento del consumatore, ma anche alle politiche di marketing delle aziende.

Figura 2 – Il processo dello slow fashion
Accanto a questi fattori ( e strettamente integrati con essi, in particolare con sostenibilità ambientale e consumo consapevole)  è necessario che le aziende ( e i consumatori) pongano un’attenzione ai concetti di riuso, riciclo e risparmio ( dal report “Sostenibilità: moda, Cosa significa, come si applica, dove sta andando l’idea di sostenibilità nel sistema moda”, a cura di Clemente Tartaglione, Fabrizio Gallante, Gianmarco Guazzo):
  • Riuso: significa riutilizzare prodotti in altri contesti (  mercati, tipologie di consumatori,  settore della moda,…). Il riuso rappresenta l’opposto del concetto di “usa e getta”.   Il riuso è notevolmente cresciuto nel settore moda negli ultimi anni.
  • Riciclo:   riguarda  i prodotti, scarti  e/o rifiuti di una società e la loro trasformazione per ri-inserirli in nuovi processi produttivi e quindi consentire un nuovo ciclo di vita. Questo processo può portare a notevoli guadagni da un punto di vista ambientale; per fare un esempio, nel settore moda per ogni kg riciclato si risparmiano 6.000 Litri  di  Acqua,  3,6  Kg  di  CO2,  0,3  Kg  di fertilizzanti e  0,2  Kg  di  pesticidi.   
  • Risparmio e riduzione:  si riferisce sia alla riduzione nell’utilizzo di materie prime necessarie per la produzione , sia  dei consumi energetici, sia dell’ottimizzazione di tutti i processi produttivi.
Questi aspetti si inseriscono nel concetto generale di sviluppo sostenibile, cioè uno sviluppo basato sulla salvaguardia dell’ambiente e delle risorse disponibili. In futuro le risorse disponibili saranno minori e dovranno essere attentamente utilizzate cercando di sviluppare sistemi produttivi a basso impatto ambientale, con il riciclaggio e il riuso  delle materie prime e con un cambiamento nei comportamenti da parte dei cittadini. La figura 3 evidenzia questa esigenza  ( Tunnel Metaphor di Holmberg et al. 2002).


 Figura 3. Lo sviluppo sostenibile

Il sistema della moda è generalmente strutturato nelle seguenti fasi (  figura 4) :
•    Design.
•    Produzione fibra ( o acquisizione materie prime o textile production)
•    Produzione abbigliamento ( garment production)
•    Distribuzione
•    Retail
•    Consumatore
•    Rifiuti

Tutte le fasi possono portare alla produzione di rifiuti e a processi di inquinamento ambientale.


Figura 4 . Le fasi del prodotto moda ( ladyborsa,com)

Tuttavia, attraverso un opportuno disegno di tutte le fasi del processo si può arrivare a creare un sistema senza scarti ( concetto di economia circolare) come mostrato schematicamente nella figura 5. In particolare   nello slow fashion le precedenti fasi dovrebbero svilupparsi secondo le seguenti indicazioni.

Design. La fase di design e progettazione rappresenta un elemento critico di tutto il processo; essa  deve  minimizzare gli sprechi e ottimizzare le risorse, ma contemporaneamente deve  definire il riutilizzo di  indumenti e scarti una volta cessato il loro utilizzo ( no waste)

Produzione Fibra.  La produzione della fibra rappresenta una delle fasi più critiche da un punto di vista ambientale. Per  il concetto di  slow fashion è necessario l'utilizzo di materiali ecocompatibili quali  per esempi, cotone organico,  bambù, canapa .  Inoltre gli indumenti prodotti con fibre ( ad esempio con cotone biologico) devono  essere recuperati alla fine dell’utilizzo  per le produzione di altri capi di abbigliamento.

 Produzione abbigliamento. In questa fase  deve  essere  ottimizzato l’utilizzo di materie prime, energia e acqua nei processi di produzione e la riduzione ( eliminazione)  dei fattori inquinanti in particolare per la colorazione e le rifiniture  utilizzando ad esempio coloranti naturali

Distribuzione.  Il processo della distribuzione dei prodotti deve  minimizzare i meccanismi  di trasporto responsabili dell’aumento di CO2 durante le attività di creazione e produzione cercando di favorire una produzione locale e una supply chain locale.

Retail. Il punto vendita ha un ruolo importante perché rappresenta il punto di contatto con il consumatore finale. Oltre a sensibilizzare l’utente sulla qualità dei prodotti, il punto vendita nel futuro farà da tramite per l’up-cycling ( riciclaggio creativo, cioè riconvertire i  materiali di prodotti inutilizzati per dargli nuova vita ), per  l’opportunity shopping ( op-shopping,  cioè diventare veri e propri "grandi magazzini dell'usato" che offrono ai privati un servizio di deposito gratuito per vendere con un sistema semplice ed efficace tutte quelle cose che non servono più o di cui ci si deve sbarazzare)e per la riconversione.

Consumatore.   Oggi  esiste una maggiore sensibilità e informazione sulla necessità di uno sviluppo sostenibile, ma quasi sempre i comportamenti sono ancora ancorati in quasi tutti i settori al “consumismo”: il comportamento medio dei consumatori è molto focalizzato sull’acquisto dell’ultimo prodotto di moda, più che sulla qualità. I consumatori: anche se formalmente favorevoli a una moda più sostenibile, sono praticamente “convinti” dai bassi prezzi del fast fashion.  Secondo alcune indagini Il 57% dei consumatori sostiene che la “sostenibilità” di un prodotto influenza le proprie scelte di acquisto, ma solo il 23% ha l’abitudine di acquistare capi di abbigliamento certificati o comunque “sostenibili” per provenienza e produzione. Inoltre, solo il 26% dei consumatori americani si dice disposto a pagare di più per capi di abbigliamento etichettati come “sostenibili” o “environmentally friendly".
 



Figura 5. Le fasi dello slow fashion

Per realizzare un  prodotto ecosostenibile occorre perciò  coinvolgere tutta la supply chain e in particolare creare:
  • stretta  cooperazione con i fornitori di materie prime per condividere e rispettare gli standard sociali ed ambientali;
  • controllo di tutta la catena di fornitura, ovvero sicurezza dei prodotti nelle varie fasi di realizzazione, trasformazione e trasporto, integrazione dei fattori ambientali nella filiera produttiva;
  • controllo ambientale di    tutti i processi (compresa la vendita) ; 
  • controllo dell’organizzazione  e gestione della forza lavoro ;
  • promuovere l’innovazione  e la ricerca sui vari aspetti della catena di produzione.
Naturalmente oggi il mondo del fashion ( come altri settori)  è ancora molto lontano dall’obiettivo  ideale dello slow fashion sia  per gli aspetti organizzativi ed economici che una tale soluzione comporta sia  per i limiti  delle tecnologie attuali. Tuttavia, negli ultimi anni  varie  aziende nel settore moda  hanno iniziato ad affrontare i singoli aspetti di questo circolo virtuoso cercando soluzioni per un passaggio progressivo verso una produzione più sostenibile.  Contemporaneamente sono nate numerose aziende,   spesso di piccole dimensioni ma molto dinamiche,   che si propongono di   inserirsi in questo nuovo mercato con idee o soluzioni innovative.

Un problema essenziale per lo sviluppo dello slow fashion è la tracciabilità e certificazione  di tutta la filiera.  La situazione attuale è abbastanza complessa perché esistono attualmente varie tipologie di certificazioni, spesso limitate ad alcuni aspetti della filiera.  La nascita nel 2011 della Sustainable Apparel Coalition ( SAC) ha cercato di colmare questa lacuna. Il progetto SAC è statao creato da un gruppo di brand importanti nel settore dell’abbigliamento e delle calzature , insieme a Enti ricerca, ONG e operatori del settore fashion/lusso e con il patrocinio  dell’Agenzia di Protezione Ambientale USA con l’obiettivo di “sviluppare un settore dell'abbigliamento che non crei danni ambientali inutili e abbia un impatto positivo sugli individui e le comunità associati alle proprie attività”.  Attualmente oltre 60 brand aderiscono a tale iniziativa. SAC  si propone di definire:
  • modalità e regole per la misurazione e la valutazione delle performance di sostenibilità dei prodotti dell’abbigliamento e del settore calzaturiero;
  • promozione dell’utilizzo delle nuove tecnologie per ottimizzare da un punto di vista ambientale e sostenibile e dei nuovi modelli organizzativi e di business per lo sviluppo di una “moda sostenibile”;
  • nuovi modelli organizzativi per la supply chain.

Uno dei risultati più interessanti raggiunti da SAC è stato lo sviluppo dell’Higg index, uno strumento per misurare la sostenibilità ambientale e l’impatto sociale di capi di abbigliamento e calzature, attraverso vari elementi  quali i materiali, il packaging , il consumo di acqua e di energia, la produzione di rifiuti,  i componenti chimici utilizzati, il  trasporto , l’assistenza alla fine vita del prodotto ( figura 6). Attraverso questo indice  sarà indicato sia agli operatori ( produttori, rivenditori,…), sia ai consumatori la sostenibilità di un prodotto; esso dovrebbe perciò dare un’indicazione “universale” al di sopra della parti contrariamente a quanto  succede oggi in cui la sostenibilità di un prodotto viene “valutata” dal singolo produttore.  In futuro l’indice sarà stampato sulle  etichette degli abiti e quindi diventerà un elemento di valutazione da parte del consumatore.

L’indice di Higgs valuta  tre aspetti:
  • brand concept: la sostenibilità del design e dei materiali che saranno utilizzati;
  • production waste: la quantità di scarti e gli agenti chimici utilizzati in tutta la fase di sviluppo di un prodotto;
  • facilities module:  analisi dei consumi di acqua ed energia e trattamento dei rifiuti.
Il test dell’Higg index è scaricabile gratuitamente dall’apposita pagina del sito Web di SAC.
L’Higg index comprende diversi strumenti di auto-assessment che possono essere utilizzati da produttori, brand e retailer per misurare i propri impatti ambientali e sociali e identificare le aree di miglioramento. I moduli di cui si compone l’indice sono di seguito brevemente presentati:



Figura 6. Gli elementi di sostenibilità dell’Higg index

 In un prossimo post sarà presentata una lista di aziende italiane e non con linee di produzione che seguono i concetti dello slow fashion.
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